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martedì 12 maggio 2015

Vino da meditazione



Da un po’ di tempo a questa parte  la mirabile definizione “vino da meditazione” coniata da Luigi Veronelli nell’epoca  aurea della letteratura enoica sembra non essere più così apprezzata dalla critica enologica imperante,specie quella rampante. C’è chi la definisce obsoleta,chi parla di onanismo intellettuale,chi la trova antipatica e addirittura chi ritiene di dover spiegare che la meditazione è altra cosa dal bere e degustare un vino quasi come se il “letterato”Veronelli fosse passibile di questa postuma correzione. Trovo tutto ciò francamente sconcertante. Nella lingua italiana  il termine meditazione può essere accolto in una duplice accezione:o s’intende come una prolungata e intensa applicazione delle proprie facoltà spirituali e intellettuali su di un oggetto quali un argomento(il vino?!?) o un problema o ci si riferisce ad una pratica ascetica consistente in una forma di preghiera mentale fatta di contemplazione,riflessione,nobile silenzio in cui il discorso interiore cessa fino al conseguimento di un nudo senso di purezza. Ma non occorre  arrovellarsi più di tanto. Veronelli fornì in vita la definizione esatta di quel che voleva significare. Per “vino da meditazione” intendeva un “…vino a sé,così completo e concettoso da esigere d’essere consumato per se solo…”. Chiarissimo. Si parla di vini che azzerano altre pulsioni e altri bisogni. Forse il termine scaturì dalla beva del Picolit di “Rocca Bernarda” o da una imprecisata annata di Chateau d’Yquem. Sembra infatti che la definizione calzasse a pennello per vini botritizzati ,passiti o liquorosi. Quanto può valere questo termine oggi? Veronelli reinventò il linguaggio enoico come Brera rivoluzionò il lessico sportivo e calcistico. Ogni epoca ha il diritto di coniare nuove forme di espressione ma non il dovere di rottamare alcunchè fino a quando non si imponga l’evidente inutilità e invalidità dell’assunto. Non è certo il caso della definizione “vino da meditazione”. Anzi,è una  dimensione suscettibile di espansione. Vini simili sono molti di più di quanto comunemente si creda. Non vi è mai capitato di bere un nettare che ti soggioga organoletticamente a tal punto da dimenticare di mangiare,di parlare,di relazionarti col mondo,che ti fa desiderare solo il defilarsi,il rifugiarti  nella benedetta isola della solitudine? A me si. Tante volte e non solo con passiti. Con bianchi,rossi e bollicine. E capisco benissimo ogni volta cosa volesse intendere Gino Veronelli e lo ringrazio ancora per averci fornito una definizione pressochè immigliorabile per descrivere un momento,una condizione,un’emozione ineffabile. Ho il sospetto che taluni critici manifestino un loro limite. Non si può spiegare a nessuno qualcosa che non abbia  capito già. E i detrattori del termine “vino da meditazione” probabilmente non appartengono alla genìa di quegli spiriti capaci di volteggiare nell’elisie sfere del piacere senza ormeggi e limitazioni di sorta,soprattutto concettuali e lessicali. Certe cose o le si ha dentro o non si possono mutuare da nessuno .
Rosario Tiso


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