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lunedì 27 aprile 2015

Sui "soloni" della critica enologica



“Nei filari, dopo il lungo inverno, fremono le viti. La rugiada avvolge nel silenzio i primi tralci verdi. S’approssima il prodigio antico,primaverile e sempre nuovo della fioritura. Nel  vento dell’estate ondeggiano  i grappoli ubertosi. Poi,i colori dell’autunno e della maturità: avremo ancora vino…” Prendendo spunto da una vecchia canzone che è tanto cara al mio cuore “sacro”, parlo di vino, nell’emozione della beva. L’etica è quella della tradizione contadina,della parola che vale quanto l’anima. E fra le tante che qualificano l’alto lignaggio organolettico  ne scelgo una : complessità. In una messe inestricabile di effluvi odorosi e di sapori,un vino “complesso” non deve voler dire “complicato”. Il “complesso” sfocia nel complicato quando i difetti,ancora ad uno stadio embrionale,si apprestano ad emergere. Nella loro natura ancora  indistinta sono accolti alla stregua di lampi di qualità e, pur  minacciando l’armonia generale, sanno aggiungere un’alea  di mistero. L’uomo è incline a farsi stregare da queste note. Dai ad un degustatore professionista,soprattutto della risma dei saccenti e dei supponenti,qualcosa di intrigante che scateni la sua bramosìa di apparire e si abbandonerà ad elucubrazioni mentali inenarrabili. Così l’incipiente difetto potrebbe diventare la “nuance” suppletiva,il valore aggiunto capace di sancire l’ascesi del vino in questione nell’empìreo dei grandissimi nettari del pianeta. La potenziale nota stonata assurgerà nell’immaginario gustativo a plusvalore organolettico. La perfezione stilistica liquidata come banale manierismo, la strisciante imperfezione è la più idolatrata e ricercata caratteristica dei grandi vini. Addirittura se ne attende l’avvento per anni. Vini di “Chateau Margaux”  pressochè perfetti già quasi in botte e nei primi anni in bottiglia, quali i millesimi 1997 e 1998, hanno dovuto attendere evoluzione  e invecchiamento  per vedersi riconosciuto un valore organolettico immenso, già ampiamente palesatosi in abbrivio. Al saccente,al supponente,al sussiegoso critico di fama più o meno acclarata non basta dunque il “complesso” . Vuole il “complicato”. Vuole il sostrato dell’interazione fra alcoli e acidi. Perché da simili spalti organolettici è più facile pontificare,smarcarsi,brillare di luce indipendente ed esibire un lessico criptico ed esoterico.
Note estranee al vino si asserpano al cerchio perfetto e conchiuso acido-morbido-tannico di un vino compiuto. Dal placido alveo del “complesso” si sprofonda nell’orrido del “complicato”. E’ il momento dei “soloni”,dei super-esperti,di coloro che ammirano la bellezza solo quando subisce le ingiurie degli anni,che barattano la fragranza del nuovo col croccante dell’ossido. Si entra nel magico antro delle infinite possibilità narratorie dove bevibilità e pesantezza,perizia,istrionismo e teatralità possono finalmente andare a braccetto.
Rosario Tiso



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