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mercoledì 18 febbraio 2015

L'isola



La definizione di “vino naturale” non è subordinata all’espressione di determinati requisiti organolettici e non scaturisce solo dall’inutilizzo di prodotti chimici . La  questione è molto più ampia e complessa. Quel che si gioca nell’adoperare il termine “naturale” è una partita culturale, filosofica e spirituale che attiene all’interazione fra uomo e Natura.  Quando l’uomo abbandona la supponenza e l’arroganza della scientificità e la scienza si spoglia della sua rigida armatura dogmatica e diventa ascolto, osservazione e attesa, si sviluppa un’osmosi fra le tensioni naturali del creato e le dinamiche esperienziali delle creature e la terra e i suoi frutti iniziano a parlarci e a raccontarci storie. Anche quando si tratta semplicemente di fare “vino”. Pertanto elemento fondante di qualsivoglia rinascimento enoico non può che essere la figura del “vigneron”. Termine pressoché intraducibile ma che amerei veder utilizzato nel senso di “contadino illuminato”, è il demiurgo che plasma la materia vivente insufflandola del suo spirito, partecipando così dello spirito del mondo. E la Natura risponde da par suo. Da viti ubertose, allevate in vigneti profumati e colorati come giardini, si dipartono radici tortuose che attraversano il terreno solcandolo strato per strato, fino a lambire la roccia madre e a suggere i minerali più reconditi. Ne scaturiscono vini dalla vibratile energia, umorali e dinamici fino ai prodromi della scompostezza, ma succosi, golosi, stimolanti. Nell’ambiente colto e raffinato, come pure caldo e informale, del ristorante-vineria “L’Isola” a Foggia, abbiamo incontrato uno dei protagonisti di quest’eroica e antica rivoluzione: Raffaello Annichiarico. Stiamo parlando dell’azienda vinicola “Podere Veneri Vecchio” di Castelevenere,il comune più vitato d’Italia,in provincia di Benevento. Raffaello, che di mestiere fa l'agronomo, è diventato produttore quasi per contiguità e necessità interiore. Dopo aver comprato casa senza un vero progetto ,ha cominciato a relazionarsi con le vigne vetuste d’intorno e presto è scoppiata la scintilla:la voglia di farne scaturire vini “veri”.  Innanzitutto non ha modificato le tradizionali vigne miste, che erano consuete in un’arcaica forma di viticoltura prudente e quali-quantitativa. Tutti i suoi vini infatti, pur essendo dei blend, vengono da un unico vigneto. Ma poi si è fatto irretire da una sfida: recuperare lo Sciascinoso. Da qui il “Frammenti di Terra” ,uno dei vertici gustativi della sua produzione. Tutto questo sotto l’egida del vero trionfatore e padrone della scena: il Tempo. Sì, Raffaello ha fatto del “tempo”  il vero protagonista di ogni sua azione. Ha scelto infatti di “stare in attesa” accordandosi ai ritmi e al modus operandi della Natura senza la propensione ad intervenire, aggiustare, correggere, coartare, sicuro di  ottenere  risposte  agli innumerevoli interrogativi incontrati lungo il cammino…e non solo squisitamente agronomici…che si allineassero al personale e  primigenio sogno organolettico. Il vino è diventato così percorso subliminale, strumento di crescita e d’avventura. Accompagnati da valenti preparazioni gastronomiche realizzate dallo chef del ristorante-vineria “L’Isola”, abbiamo assaggiato diversi vini del “Podere Veneri Vecchio” .Per cominciare il “Tempo dopo Tempo”  2012 da uve” grieco”  ( imparentate col trebbiano) e cerreto(una sorta di Malvasia di Candia). E’ il vino che meglio racconta la poetica di Raffaello. Fresco, tagliente ,immediato. Carico degli umori macerativi dell’uva. Schietto come di gioventù baciato. Goloso e digeribile. Il paradigma di quello che vuol produrre “Podere Veneri Vecchio”. In una progressione proustiana si  è passati al    Bianco Tempo 2011(grieco/cerreto)  che è risultato diverso dal primo campione, un po’ più composto e maturo. Il “Rutilum” 2011 ha segnato l’accesso ai rossi. Sangiovese e Barbera del Sannio(vitigno autoctono campano) per un blend insolito e a tratti spigoloso. C’è nerbo selvaggio e la beva pullula di aritmie gustative. Va atteso  al centro della bocca per una placida ricomposizione. Con il “Perdersi e Ritrovarsi” 2010,uvaggio di aglianico e piedirosso, si è cambiato registro. Legni autoctoni e qualche rotondità rassicurante. Botto finale con il  dolce accompagnato dal “Rutilum” 2000. Non sapevamo cosa attenderci. Nel bicchiere un’ambrosia densa eppure lieve,calda per quanto  austera,ci ha sorpresi. Il “Rutilum” è frutto evolutivo puro. Un tannino sottile e presente ancora lo sostiene. E in quel di bocca appaga. Chapeau.
Rosario Tiso




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